Il monte Ortara, la cima che mancava all'appello

Una escursione ariosa, facile, sempre alti su lunghe dorsali, qualche traverso, qualche sella, un sali e scendi continuo sui tanti 1900 di questo comprensorio, fioriture come non ci fosse mai fine, e orizzonti sempre vastissimi. Siamo sugli Ernici.

Le montagne più vicine a casa, oggi battute da un piacevolissimo vento, fai andare le gambe e per limite solo la luce del giorno.


Sulle orme di una recente escursione del mio amico Giorgio, per tenersi in forma e far andare le gambe in vista della settimana dolomitica ma soprattutto per cercare del fresco in questa settimana rovente, ci siamo mossi per questa lunga passeggiata di oggi; soprattutto il fresco a dire il vero è stato il fattore predominante, sembrerà strano ma questa parte di Appennini in questo fine settimana era data generalmente 4 gradi sotto tutte le altre zone, Marina, da donna, ha disquisito anche su questo e faccio ammenda per averla derisa perché davvero la temperatura della giornata non è salita oltre il 26 gradi. Un venticello leggero, fresco e più o meno costante ha fatto il resto. Ne è uscita una giornata stupenda. Un giro che avevamo più o meno già fatto, anzi, a varie tappe siamo andati anche più lontani, raggiungendo ora la Monna, ora il Crepacuore e in inverno il monte dell’Agnello; sempre però seguendo il sentiero principale e mai salendo sulle tante vette minori di cui il territorio è disseminato. Il giro molto aereo oltre che far andare le gambe e prepararci così all’intensa settimana dolomitica ci consentiva, uscendo dai sentieri e salendo una ad una i tanti 1900, di accumulare dislivello, allenamento su allenamento, confesso ho rubato a Giorgio questa idea, basta tornare indietro di pochi racconti per leggere e vedere il suo. La giornata non era iniziata bene, nel piazzale di Campo Catino stavano allestendo stand per una manifestazione di bikers, abbiamo temuto di dover condividere il territorio con i ciclisti, schivare un percorso di gara ma così non è stato e ed è stata una (quasi) assoluta solitudine. Del quasi ne parlo subito perché ancora c’ho l’embolo che non ha deciso che direzione prendere, la solitudine è stata interrotta da 7 motociclisti, che, eravamo sulla via del ritorno, sono sbucati dalla sella tra il Pozzotello e Peschio delle Ciavole ed hanno preso a scendere verso fonte del Pozzotello, schiumavo di rabbia, a piedi disturbiamo aquile, camosci, orsi subendo divieti in mezzo Appenino, e “questi” con le moto possono devastare a piacimento le montagne!!!! Sono le 8,30 di una mattinata fresca e con gli orizzonti ampi, Marina aveva visto giusto con le temperature, che Dio l’abbia in gloria sempre quando pensa a questi dettagli, prendiamo a salire dal piazzale antistante la chiesetta di Campo Catino verso il primo 1900 della giornata, monte Vermicano (1948 mt), meno di 100 mt di dislivello da Campo Catino, grandiosa la vista sul boscoso anfiteatro chiuso dalla Monna che si apre sulla valle sottostante, su Guarcino fino al lago di Canterno, oggi molto ricco di acque e forse per questo più azzurro che mai; il monte, non fosse per la bella posizione e il panorama che offre è una cima anonima e corrotta dagli impianti di sci. Scendiamo sulla lunga e facile dorsale che a Nord contiene Campo Catino fino alle falde del Peschio delle Cornacchie (1983mt) che saliamo direttamente aggredendo il corto e tondo “spigolo” Nord-Ovest, qualche digressione sugli speroni che degradano verso Nord rendono più interessante la salita favorendo begli scorci rocciosi e a picco e lunghi orizzonti verso i boschi sottostanti e sulle dorsali fino al Crepacuore, al Viglio e al più lontano monte Cotento. Quasi un’ora dalla partenza per raggiungere questa panoramica cima, il vento oltre la sommità è più teso e fresco, sono le condizioni ideali per iniziare una bella cavalcata sulle ampie dorsali che abbiamo davanti; dolci vette, tanti modesti sali e scendi, un bel viatico per una bella, lunga e ariosa camminata. Prendiamo verso Sud, in cresta una piccola mandria di cavalli, diversi sono puledri, non ci degnano di uno sguardo, solo i cuccioli, di norma curiosi, ci controllano attenti a non perdere un nostro movimento; li oltrepassiamo quando la dorsale prende a scendere sulla sottostante sella del Pozzotello, risale subito dopo, una dorsale gemella, lunga, larga fino alla cima omonima alla sella, mt 1995; segue una ampia dorsale di circa tre chilometri che si alza e si abbassa continuamente, scende fino a quota 1885 mt e si rialza su una cima senza nome, 1948 mt, sulla carta poco sopra e poco prima del passo del Diavolo; come sempre mi attardo, le fioriture su queste aride e pietrose dorsali creano dei piccoli giardini rocciosi, i colori si mischiano, le situazioni per degli scatti da portarsi a casa si moltiplicano. Scendiamo velocemente fino al passo, dove un omino di pietre segnala la traccia che si stacca per traversare sotto i roccioni dello Iubero dell’Ortara in direzione monte Ortara stesso, ormai a vista verso Sud a meno di un paio di chilometri. Incontro le prime fioriture di Genziana lutea ed i primi Gigli rossi di S. Giovanni, tra i bassi ginepri si esaltano brillando di luce propria, accumulo il ritardo da Marina, non si può mancare dal dare il benvenuto a queste due preziose quanto belle essenze appenniniche. Non deviamo sulla traccia che si abbassa traversando, saliamo su costone dello Iubero dell’Ortara, 1942 mt, una sorta di anticima del vicino monte Fanfilli, dove continuando per una cresta che sale lentamente, si raggiungerebbe in poco più di due chilometri la Monna. Non è quella la nostra destinazione, sulla Monna c’eravamo stati un paio di anni fa, prendiamo a scendere invece verso Sud seguendo delle piccole tracce e per qualche tratto liberamente; Marina scende lungo cresta, io mi allungo sotto il Fanfilli e aggiro una ampia conca che ha il sapore di dolina. Ci finisco dentro a seguire immense fioriture di margherite gialle arancio, le Costoline aranciate, sono così tante che è impossibile non calpestarle, mi abbasso seguendo le fioriture e puntando una costa che sale da Ovest verso l’Ortara, poi Marina mi chiama e devio fino a raggiungerla, ha fretta di farmi vedere l’immenso catino boscoso, meraviglioso da questa prospettiva, che sale da Morino giù in basso fino alle pendici del Peschio delle Ciavole (che toccheremo al ritorno), del Crepacuore, del Viglio, da qui una infilata di dorsali e vette di notevole impatto. Sulla sella sottostante che raggiungiamo, tra lo Iubero dell’Ortara e l’Ortara stesso, una colonna che segnava il confine tra gli stati pontifici e quello borbonico giace mesta come una pietra qualunque quasi sepolta dall’erba; ancora distinguibili il giglio borbonico e il numero della colonna, il 280. In dieci minuti siamo in vetta all’Ortara, che tocchiamo dopo poco meno di tre ore dalla partenza; sorprende questa montagna, a dispetto dei suoi 1908 mt ha un profilo molto elegante anche se semplice, si eleva lungo la dorsale che chiude il catino boscoso della Liscia, verso Nord precipita rocciosa sopra la valle e sopra il rifugio della Liscia, di cui si riesce a vedere solo in tetto. Da quassù è davvero un bel quadro di montagna quello che si apre davanti, di quelli placidi, che regalano bellezza pura e semplice, una scura, boscosa ampia valle che aggetta verso Morino, l’arco della dorsale che la contiene formata da un susseguirsi quasi regolare di poco pronunciate cime e che si chiude a Nord col Viglio, il teatro dove si raccolgono le acque che più giù andranno a formare a cascata di Zompo lo schioppo e ad alimentare l’acquedotto di Morino. Verso Sud il versante degrada più dolcemente, si perde in un ammasso di basse montagne e di boschi fitti che si rialzano qualche chilometro oltre sulle cime più alte degli Ernici, lì, nel mezzo, un dedalo di sentieri invisibili da quassù e l’Abazia di Trisulti, lo stesso invisibile inghiottita come è dai boschi e dalle alture. Rimaniamo in vetta per una mezz’oretta, il posto è davvero bello, ispira calma, silenzio, armonia, isolamento; mi sporgo dalle rocce un po’ sotto la vetta, veri speroni a picco sul bosco, ricordo il desiderio di non muovermi da lì e quello di far andare lo sguardo, dove non aveva importanza, era un orizzonte e una vista che fermava il tempo con le sue linee morbide e vaste. Il ritorno sarà lungo, nei progetti c’è una deviazione fin sul Peschio delle Ciavole, quando alcune nuvole coprono il sole e fanno sentire il vento più fresco di quanto non è capiamo che c’è bisogno di movimento e ripartiamo per il ritorno, per la stessa via dell’andata il primo tratto, fin sotto lo Iubero dell’Ortara dove deviamo per un sentiero sulla destra, dalla bella linea che sale aggirando lo spigolo a superare la parete rocciosa. E’ bello nella linea tracciata e bello nel contesto che attraversa, fioriture, tante e anche diverse da quelle incontrate fino ad ora, nei pressi dello spigolo un recinto divelto ricorda che a pochi passi c’è un salto di diverse decine di metri che precipita nel bosco, panoramico, incantevole, fresco, un balcone al centro del vallone, ora che siamo lontani dall’Ortara ne cogliamo le sue pareti ripide e rocciose, la bellezza insospettabile e forse anche inattesa; poco oltre lo spigolo la roccia degrada con qualche gradone molto facile, incontro Raponzoli appenninici e l’Aquilegia appenninica, entrambi incontri non facili da fare e che come al solito, macchina fotografica alla mano, mi fanno attardare nei confronti di Marina che sta quasi raggiungendo il passo del Diavolo. La raggiungo in sella al passo, dopo un traverso sassoso facile da percorrere. Ripercorriamo ancora un tratto già percorso all’andata, fin sotto le pendici del Pozzotello dove intercettiamo un traverso breccioso che lo taglia e che nel giro di 20 minuti ci porta alla sella sotto il Peschio delle Ciavole; è l’ultimo 1900 della giornata, risaliamo di slancio i 70 mt che ci dividono dalla bella e finalmente semplice croce di legno che è posta in vetta, si tratta di una pronunciata cima (vista da Est) che da inizio alla secondaria dorsale che raggiunge il Crepacuore, ancora un altro balcone sul vallone della Liscia assolutamente centrale al vallone stesso, altre prospettive, altro fascino da aggiungere al tanto bello di oggi. Morino è là sotto, il laghetto della centrale è bel visibile, lo stesso il centro abitato che si è allungato nella valle, intuisco la posizione della cascata di Zompo lo Schioppo, cerco di interpretare il fitto e intricato bosco che abbiamo salito tre anni fa dal basso fino all’eremo del Cauto, affascinante chiesetta “infrattata”, riflessioni che mi hanno inevitabilmente riportato ad un momento triste ed intenso della mia vita. Scendiamo un po’ a destra della linea di salita, nel versante più dolce ed erboso, tra leggeri traversi e tanti zig zag, raggiungiamo velocemente la sorgente del Pozzotello che sfioriamo per non infastidire le mucche che si stanno abbeverando e prendiamo il sentiero 602 che sale fiancheggiando il Peschio delle Cornacchie; girandogli praticamente intorno raggiungiamo la dorsale che confina con Campo Catino, la seguiamo fin sotto il Vermicano, che non raggiungiamo, prendiamo una traccia che traversa e che poi si perde tra i fossi; senza problemi rimaniamo in quota fino ad intercettare, ormai in basso, la pista che scende dall’alto, cinque minuti ancora e siamo alla macchina quasi dispiaciuti che il bel giro di oggi si sia concluso, quasi sette ore di assoluta leggerezza. Pensata come una escursione che doveva tenerci in allenamento questa ennesima sgroppata su quelli che chiamo gli Ernici poveri, ci ha esaltato e fatto conoscere ancora meglio questo versante; salendo i tanti 1900 di questo comprensorio abbiamo potuto sempre godere e approfittare di viste aree e ampie, ora un versante ora un altro, le montagne cambiavano sempre di profilo, come l’ampio vallone della Liscia, tante le selle, le doline erbose, i traversi, per non parlare delle fioriture tante, colorate e diverse. Le salite sempre dolci e mai estenuanti si sono susseguite continuamente in un’armonia di saliscendi; ci siamo messi nelle gambe quasi 900 mt di dislivello e circa 16 chilometri, sarà stato il continuo venticello che ci ha alleggerito non poco l’andatura ma la giornata è volata via davvero. Definendo questa come una giornata perfetta forse compirei una esagerazione, di certo è il posto giusto per vivere una montagna non impegnativa ma sempre panoramica ed aperta, per vivere l’aria aperta, per stare bene. Dimenticavo, grazie al mio amico Giorgio, involontariamente mi ha suggerito la meta di oggi altrimenti fuori dai miei pensieri.